venerdì 4 dicembre 2009

Quesito: quali sono le differenze tra educare ed insegnare?

Cos'è l'educazione?
Che cos'è l'insegnare?
Per te cosa è giusto o sbagliato in educazione?
Ci sono parole da non dire mai?
Modi di porsi o atteggiamenti da promuovere?

giovedì 12 novembre 2009

Una lettura interessante... un professionista dell'educazione deve averlo letto

Dopo avervi proposto la visione di un film che ritengo fondamentale, ecco che vi porto a conoscere un libro il quale, facendo di necessità virtù, ve lo suggerisco/pubblicizzo per una futura lettura. Il tema resta lo stesso: le disabilità.
Titolo: La terza nazione del mondo
Autore: Matteo Schianchi
Casa editrice: Feltrinelli, “Serie Bianca”
Anno di pubblicazione: prima edizione di gennaio 2009

Trama: Il libro parla di numeri e parla di persone con e senza nome, campioni della vita e dello sport ma anche molti sconosciuti che non sono altrettanto “riusciti” in imprese troppo umane per essere un “non completamente umano”, persone che hanno una dignità tutta da vivere, con e per gli altri anche se il loro nome non è noto come quello di Oscar Pistorius. L'autore affronta il tema della disabilità tra timori, pregiudizi e rifiuti, ma anche modelli positivi di integrazione.

Tema Emergente: “Secondo le stime delle Nazioni Unite, in tutto il mondo le persone disabili sono 650 milioni: un dato che corrisponde al 10 per cento della popolazione globale. Tutte insieme, popolerebbero la terza nazione del pianeta dopo Cina e India”. I dati parlano chiaro, non si può più far finta di non vedere e non sentire. In Italia, sono circa 6 milioni i disabili e ciò corrisponderebbe alla seconda regione dopo la Lombardia. Chi sono? Sono le vittime di malattie congenite o acquisite, traumi psichici, incidenti sul lavoro e stradali, tumori. Scrive Schianchi “ L'handicap non è solo una lesione fisica, mentale o sensoriale, è un modo di esistere: coinvolge l'individuo completamente, per tutta la vita, nella sua soggettività e nelle sue relazioni sociali”. Proprio perché temuta, la disabilità è rifiutata, la sua vista disturba e inquieta.
Spaccato sociale. Per l'autore ciò che manca e di cui si avverte la necessità è fare cultura sull'handicap. Mancano strumenti e linguaggi innovativi, politiche ad ampio raggio e di grande impatto che puntino verso la piena emancipazione individuale e sociale dei soggetti. Emerge la necessità del “fare”, l'agire, il costruire relazioni prossime che siano spogliate di sentimentalismo e buonismo iniziando dallo sradicare il secolare e tanto dannoso concetto di assistenzialismo.
L'entrata in vigore della Convenzione sui Diritti delle persone con disabilità per far fronte alle diverse forme di discriminazione ed esclusione di molti dei 650 milioni di persone disabili che vivono nel mondo (con dati in continua variazione) ha lo scopo di spostare “il fulcro dell'attenzione dalla menomazione alla persona nella sua interezza e si pone così come strumento, indirizzo verso il superamento di una logica assistenziale e sanitaria”.

Interrogativi sul versante educativo: Come accade spesse volte, chi si interessa di disabilità è perchè nella disabilità si è più o meno direttamente coinvolti. Per un educatore è di vitale importanza nutrire la coscientizzazione sulla disabilità, farsi e fare cultura sulla disabilità, senza soffermarsi sull'evidenza delle possibilità che essa chiude, sulle possibilità mancate, anzi!
L'educatore che integra le conoscenze provenienti dalle diverse discipline è l'educatore che adotta un metodo pedagogico speciale, un pensare speciale che cerca di aprire nuove porte alle possibilità. L'educatore si fa portatore sano di integrazione ed inclusione non solo dando informazioni e chiavi di lettura innovative sulla disabilità, ma anche testimoniando linguaggi, atteggiamenti inclusivi. L'educatore deve aver coscienza del bene riposto nell'educazione stessa e soprattutto nell'educabilità delle persone per le quali si infondono le energie dell'agire educativo, in particolar modo, e a maggior ragione, di quelle persone con bisogni speciali.
Chi è il disabile? E' in prima istanza la persona che ha il diritto di essere chiamata con il proprio nome. Il disabile è la persona che a causa di eventi traumatici o vittima di malattia congenita o acquisita ha perduto o ridotto le capacità funzionali conseguentemente ad una menomazione di tipo anatomico, psicologico o fisiologico.
Atteggiamenti verso la persona disabile: La percezione negativa che si ha della disabilità e lo sguardo che si posa sui suoi portatori imprime un marchio arroventato di pregiudizi che allontana invece che avvicinare, esso genera il rifiuto che ostacola la strada alle possibilità. Troppo spesso ci si dimentica che la disabilità non è una scelta. Il giudizio sommario delle persone che osservano altre persone speciali non sempre tiene conto che il disabile non è in perfetta salute, ma non è neppure malato! Scrive l'autore del libro “Non esiste handicap senza sguardo sull'handicap. Questo sguardo è pieno di pregiudizi, pietismo provati dai "normali" sui disabili e dai disabili su se stessi: qui si creano e si alimentano il rifiuto e l'emarginazione”.

Che idea di integrazione/inclusione emerge? Quello che Schianchi riesce a trasmettere è un desiderio di “andare oltre”. Oltre alle barriere architettoniche che limitano la possibilità di relazionarsi, di muoversi (per chi è costretto ad utilizzare la carrozzina) e che limita la possibilità di trovare lavoro, incontrare nuove amicizie e amori. Ma anche andare oltre alle barriere culturali, ai limiti della cultura di massa prodotta oggigiorno in maniera confusionale dai media. Questi sono di fatto esempi evidentissimi di esclusione, cosa da evitare.
Essere orientati all'integrazione significa fare proprio questo concetto: “ La disabilità è solo una delle diversità che caratterizza il genere umano. I disabili sono diversi, ma sono pienamente persone. Diversità non è sinonimo di inferiorità. E' proprio a partire dal fatto di essere completamente e totalmente soggetti, persone che i disabili devono essere definitivamente integrati dai “normali” e devono integrare se stessi”.
Oggi le persone con disabilità vivono in condizioni migliori rispetto a tutta la storia precedente dell'umanità, esistono soluzioni tecnologiche e sanitarie che riducono i limiti imposti dalle menomazioni e dall'handicap. I governi e le istituzioni che ci precedono hanno attuato misure legislative che impongono di andare incontro alle difficoltà e favoriscono il recupero, il reinserimento e l'integrazione delle persone disabili in molte dimensioni fondamentali del vivere e la direzione della strada da percorrere è stata tracciata il 3 maggio 2008.

Riflessione critica. Lettura a mio parere molto dinamica, si passa rapidamente da un micro tema all'altro, pur non tralasciando nessun dettaglio, senza cadere nel pietismo di una mentalità che è proprio quella che Schianchi si auspica di vedere superata. L'ho prediletta tra le altre letture proposte perchè è un libro che fornisce numeri, dati in linea con i tempi (il libro è di inizio anno 2009 e giunge dopo l'entrata in vigore della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità delle Nazioni Unite), riprende il discorso d'integrazione facendo un quadro storico per sommi capi del “da dove veniamo” partendo dall'età greco-romana, passando per il medioevo, per affacciarsi attraverso i successivi secoli all'apertura dei nuovi orizzonti educativi nel Settecento, all'inaugurazione di istituti od ospedali e ai primi approcci medico-educativi tentati nel corso dell'ottocento fino all'era tecnologica in cui viviamo, che permette l'utilizzo di protesi in materiali compositi che danno la possibilità di rispondere ai bisogni speciali e di superare le barriere andando, per l'appunto oltre.

Consiglierei la lettura a.. tutti coloro che hanno bisogno di numeri statistici per riuscire a prendere in considerazione l'importanza e la necessità del pensare speciale (chi risiede per elezione popolare o per merito e competenze nella stanza dei bottoni; penso ai politici e dirigenti d'azienda) ma sopra tutti la lettura la consiglierei a registi del cinema e autori della televisione, perchè loro hanno la competenza e i mezzi per creare l'innovazione di una cultura (atteggiamenti, linguaggi..) di massa propria dell'inclusione.
Chi genera nuovi programmi televisivi e crea nuove pellicole cinematografiche deve prestare il fianco ai professionisti dell'educazione e questi ultimi vanno incoraggiati a perseverare, o iniziare da adesso, nell'obiettivo lontano, ma forse ogni giorno un po' più vicino, della piena inclusione di tutti, non solo della disabilità. Questa forse è la più grande delle sfide educative su tutti i livelli.

lunedì 2 novembre 2009

Back to the Nature

Strade? dove stiamo andando non servono strade!

sabato 10 ottobre 2009

Un film fondamentale...

Siete persone sensibili al tema delle disabilità?
Volete togliervi delle curiosità... Come vive la sua giornata una persona disabile? Chi gli sta accanto? Quali sensazioni lei vive? Come? Cosa? Perchè? Dove? Con chi?.....


Questo è un modo per farsi cultura personale, permette di conoscere, fare conoscere. Più che 123 pagine di letture sul tema, vi suggerisco la visione di questo film della durata di 123 minuti.

Per darvi modo di conoscere il tema del film e il mio modo di vedere le cose vi propongo una scheda con personale riflessione pedagogica preparata alla luce della visione del film.



Titolo: Lo scafandro e la farfalla
Regia di Julian Schnabel, regista e pittore.
La pellicola uscita nel 2007 è girata interamente in Francia ed il cast è composto da attori francesi, questo per volontà del regista di New York.

Trama: Jean Dominique Bauby a 43 anni muore, ma ciò che sta nel mezzo tra la nata della sua nascita e quella della sua scomparsa è, con un filo d'inchiosto, una vita tutta da scrivere e da conoscere.
Jean-Do oltre ad essere padre di tre figli che la sua compagna gli ha donato è il caporedattore di una nota rivista di moda di fama internazionale. Mentre stava passando del tempo libero con il figlio maggiore è costretto ad accostare l'auto nuova che stava guidando. A causa dell'ictus che lo ha colpito passa circa tre settimane in situazione di coma all'ospedale marittimo di Berck sur mer, al suo risveglio niente è più come prima, o forse no.
I medici riconoscono in Jean-Do i sintomi di una sindrome molto rara: la locked-in, il suo corpo che egli stesso paragona allo scafandro di un palombaro non gli permette di muoversi, di parlare, di alimentarsi normalmente, Jean-Do riesce a comunicare con l'esterno di questo scafandro attraverso il battito della sua palpebra che detta la parola da esprimere. Come una farfalla che con il battito leggero d'ali riesce a volare lontana, così il suo occhio sinistro si apre e si chiude per poter affermare di essere ancora Qualcuno e non solo un “qualcosa”, un corpo apparentemente inerte. Ed è tutto qui ciò che gli rimane? No, la sua memoria è rimasta integra, i suoi ricordi di posti e volti e così pure l'immaginazione e se ciò che risulta evidente è che tutto il suo corpo dorme, lui è più sveglio che mai. “Immaginazione e memoria sono i soli mezzi che ho per evadere dal mio scafandro.” (citazione dal film)
Riesce a mantenere l'accordo preso con una casa editrice per la quale aveva firmato un contratto. Il suo desiderio era quello di prendere come modello la storia de “Il Conte di Montecristo” per proporne una rivisitazione personalizzata ma questo progetto è rimasto in sospeso per poi essere accantonato dalla decisione seguita alla nuova condizione umana in cui Jean-Do si è trovato. Cinque ore di dettatura per scrivere una frase. Tanto vale la fatica per dare vita alla voglia di esprimersi.
Ma Jean-Do non è solo dedito alla stesura del suo libro, mantiene vivi i contatti con il padre novantenne, con la ex-compagna e madre dei suoi figli, con l'attuale compagna, con la rete amicale e con i colleghi di lavoro oltre che con i medici e specialisti della struttura che lo ospita in cura. Tutta la comunicazione avviene mediata dal battito di ciglia di Bauby, un movimento apparentemente insignificante se rapportato alle immense potenzialità d'espressione di una persona normodotata.
Il nove marzo del 1997 Jean Dominique Bauby a 43 anni ha per sempre smesso di battere la palpebra ma la sua farfalla continua a volare, i suoi battiti si trovano tra le pagine del libro, nei frame del film e tra i volti delle persone che grazie alla sua storia stanno imparando a costruirsi una professionalità, in chi continua a perseverare nel svolgere bene il suo lavoro, nei volti di chi deve capacitarsi di quali evenienze si possono incontrare nell'arco di una vita e in coloro che non si arrendono mai, neanche quando tutto sembra finito.

Tema Emergente: la disabilità insorta a causa di un ictus che ha colpito un uomo in età adulta paralizzandolo completamente, facendogli perdere l'uso della parola oltre che l'uso dell'occhio destro e il percorso medico-rieducativo per recuperare le sue autonomie. In questo caso il lavoro specialistico viene orientato al recupero dell'espressione verbale e dell'alimentazione autonoma.
Spaccato sociale: Siamo in Francia a metà degli anni novanta. Il protagonista incontra la disabilità nel culmine della sua realizzazione sociale (belle donne, denaro, auto di lusso e una carriera affermata). La causa è definita col termine medico Sindrome Locked-in rarissima, un ictus che colpisce Jean-Do e lo paralizza lasciando già dalle prime impressioni mediche solo marginali speranze di recupero.

Chi è il disabile? Ha un nome. Jean Dominique Bauby ed ha 43 anni, fa il papà di tre figli, scrive libri, piace stare in compagnia di persone che abbiano la pazienza di attendere una sua risposta a domande precise con cui si possa rispondere con un si (un battito di palpebra) o con un no (due battiti di palpebra per negare). Ama ascoltare la lettura dei suoi romanzi preferiti.
Atteggiamenti verso la persona disabile. Vorrei soffermarmi, prendendoli ad esempio, due opposti atteggiamenti che ritengo estremi l'uno all'altro senza dover fare un elenco di persone e relativi modi di porsi.
Coloro che non conoscono Jean-Do nella sua nuova situazione umana, mi riferisco ai due tecnici della France Telecom che giungono nella sua stanza d'ospedale per l'installazione del telefono vivavoce, non sanno relazionarsi a lui e per questo se ne fanno gioco, convinti che Jean-Do oltre che non parlare, non possa comprendere. Si sbagliano, ma questo forse è l'esempio del pregiudizio e dello stereotipo che i tecnici colgono in Jean-Do stigmatizzandolo implacabilmente (Jean-Do se la rise alle loro battute, questo per fare capire lo spirito humoristico del protagonista). Opposto a questo sguardo che si posa sulla disabilità è lo sguardo dell'ortofonista che con Jean-Do ha scambiato le prime nuove parole. L'ortofonista, una giovane e bella ragazza che ha usato professionalità e sensibilità degni di una persona pronta e corazzata (competenze, modo di essere) a svolgere bene il suo lavoro, è una persona che crede nella sua azione, ma prima di tutto crede nelle possibilità di chi ha di fronte. Essa si dimostra aperta all'accoglienza delle istanze di Jean-Do apparendo molto determinata ad insegnare la tecnica della comunicazione per dettato al battito di palpebra, unico modo per ripristinare il contatto comunicativo con il resto del mondo di Jean-Do.

La relazione del disabile con le altre persone in un'ottica integrativa e d'inclusione: Jean-Do, utilizza questo modo speciale per comunicare, questo è una risorsa e allo stesso tempo un vincolo alla sua autonomia sociale. Riesce a mantenere le relazioni con la sua famiglia, con la fidanzata, con il padre e con la cerchia delle amicizie. Aspetta sempre la visita di qualcuno e, dopo il primo periodo in cui il protagonista oppone il rifiuto di imparare il metodo comunicativo proposto dall'ortofonista, ma prima ancora, una volta interiorizzata e fatta propria la consapevolezza della nuova situazione, Jean-Do libera la voglia di esprimersi scegliendo di scrivere il suo libro, il libro che parla di sè. Dopo aver ridimensionato sé stesso, nel nuovo contesto sociale-ambientale, Bauby porta fuori dallo scafandro del suo corpo il messaggio dei suoi bisogni speciali e ritrova la necessità di relazionarsi. Comunicare con questa modalità diventa relativamente automatico e accessibile alle persone care che giungono a fargli visita. Lo sforzo rieducativo per creare integrazione c'è stato ed ha dato risultato positivo.
Riflessione critica. Niente poteva fermare Jean-Dominique Bauby: successo, carriera affermata, belle donne. Si serviva del corpo per soddisfare i suoi bisogni di affermarsi. Una vita che potrebbe essere presa a modello per gli attuali valori che la società propone anche se, probabilmente, il fatto che il corpo ad un certo punto della propria esistenza, diventi inutilizzabile...
Forse è stata proprio questa sua condizione a farlo diventare davvero un uomo. Lontano dalle necessità effimere del corpo, lontano da una condizione che non conosceva la sofferenza, dal mondo ovattato della moda, insensibile (?) al senso vero della vita. E' stato poi che ha liberato la sua essenza affidandole al battito d'ali di una farfalla.

Consiglierei il film a.. Vorrei poter dire a tutti! Io ho potuto apprezzarne la qualità delle immagini che aderiscono vellutatamente ai sentimenti che stanno raccontando, e poi, le musiche.. Davvero un film completo, che emoziona ma senza volutamente cercare di emozionare. Un film sensibile e rispettoso, che è lontano dal “retorico” e che non prende posizioni su temi quali quelli dell'eutanasia e lascia liberi, com'è giusto che sia, di poter scegliere di costruirsi (o di confermare) un pensiero proprio su questo tema delicato il cui fine ultimo è sempre il bene per gli altri, dell'altro speciale.

Per guardare il trailer cliccate qui http://www.bimfilm.com/trailer.php?file=lo_scafandro_e_la_farfalla.flv&image=scafandro_preview.jpg

mercoledì 29 luglio 2009

Prendendo in mano il libro di Filosofia dell'educazione in queste calde e piacevoli giornate di sole trovo questa frase bellissima che ora vi cito per farvene dono.


“ In ogni istante sono quel che sono e devo essere ancora, concluso e aperto, totale e insufficiente, secondo il ritmo personale della pulsazione esistenziale che mi costituisce, sistole e diastole, con un nome e un cognome”
Luigi Pareyson

nella foto: "il ponte degli alpini" Bassano del Grappa - Vicenza


Buon periodo estivo!

Claudio

venerdì 24 luglio 2009

La terza via. "Ismo" della persona: il personalismo



La terza via possibile e alternativa all'esistenzialismo e al collettivismo totalitario è Mounier, francese a tracciarla. Ora vi introduco con una breve presentazione il fondatore della rivista "Esprit", spirito.

Emmanuel Mounier, uomo politico del novecento considerato “l'educatore politico di una generazione” nasce nel 1905 e inizia a costruire il suo pensiero filosofico nel periodo storico degli anni '30-'40. Sono quelli gli anni in cui si impongono i totalitarismi di molti colori: nazismo,fascismo, comunismo e forme estreme d'industrialismo produttivistico proprio della cultura anglo-americana.

Mounier ci fornisce la chiave di volta, pensa e vive ciò che scrive, parla di ciò che vive in prima persona e ciò che lo muove è il destino della persona umana stritolata dai grandi regimi totalitari violatori della dignità umana.
Il baricentro della sua scelta è la libertà della persona umana, egli non si oppone ai totalitaristi schierandosi dall'altra parte con i liberali.

Mounier cerca una terza via che vada oltre l'individualismo e il totalitarismo, essa è ispirata dal personalismo religioso d'impostazione cattolica. Una via detta personalistica.
Per Mounier nella scelta antropologica dell'individualismo liberale manca il “Tu”, non c'è relazione comunitaria, l'opzione opposta è la macchina che spegne il senso personale ed annienta la sua irripetibilità, essa coincide con la scelta del totalitarismo riassumibile in “il Noi senza l'Io”.
Il personalismo mounieriano, la terza via possibile è quella comunitaria: “il Noi viene prima, o perlomeno accompagna l'Io”.

Il referente antropologico per Mounier è l'uomo come persona.
Il personalismo perderà all'epoca dell'esistenzialismo (Io bastante a sé stesso) e del marxismo (il Noi) la sua “battaglia filosofica”; comunismo e liberalismo sono state e sono idee filosofiche con una scelta di direzione (anche e soprattutto politica) dell'uomo. Non c'è mai stata una società del personalismo, nessun partito politico ha marciato in nome e per conto del personalismo ma resta il fatto che Mounier ha vinto la sua “battaglia giuridica” in seguito, sulla sostanza: ad oggi non c'è nessun servizio che non sia fornito alla PERSONA.

sabato 27 giugno 2009

Esempi storici di scelta del modello antropologico fondamentale.

Nell'intervento precedente abbiamo compreso l'importanza dell'opzione antropologica, ora vedremo attraverso due importanti esempi storici di come, a seconda della diversa scelta antropologica scaturiscono diverse prassi educative.

Parliamo ancora un pò del passato e precisamente di un passato piuttosto recente: quello del secolo scorso.

”Io” dell'individualismo nel mondo Anglosassone VS “Noi” del totalitarismo collettivista nell'ex URSS

Sull'onda del positivismo (tema già ampliamente trattato negli interventi precedenti) nel mondo si delinearono due modi sostanzialmente opposti di immaginare l'uomo.

Ad occidente l'ideale proprio della cultura anglo-americana elevato a scelta antropologica fondamentale è fondato sul concetto dell'individualismo liberale; ogni singolo si fa da sé senza l'aiuto dell'altro, della comunità, dello Stato: è l'uomo competitor, il competitore agonistico. Il self made man che diventa capitalizzatore di beni in una economica statale che non mette naso negli affari privati (con conseguenze passate alla storia: crisi statunitense con ripercussioni mondiali nel 1929).
Ad oriente e nella vecchia Europa le teorie di Karl Marx diedero spunto al pedagogista russo Makarenko che sosteneva una linea educativa nell'interesse del collettivo annientando anche pedagogicamente l'irripetibilità della persona. In estrema sintesi la sua linea educatica è il “Vietato dire Io”. All'interno del sistema sovietico l'opzione antropologica andava a definire il “cittadino desiderabile”.

Il pensiero filosofico era così schierato: ad occidente il liberalismo e ad oriente il totalitarismo collettivizzante.

Il modello antropologico del liberalismo è costruito su di un'idea di libertà, ma questo è un concetto materialmente inteso. L'uomo, libero da cosa? O se vogliamo, da chi?
E nel totalitarismo collettivizzante se esiste solo il “Noi”, cosa (o chi) sono io uomo?