Nell'intervento precedente abbiamo compreso l'importanza dell'opzione antropologica, ora vedremo attraverso due importanti esempi storici di come, a seconda della diversa scelta antropologica scaturiscono diverse prassi educative.
Parliamo ancora un pò del passato e precisamente di un passato piuttosto recente: quello del secolo scorso.
”Io” dell'individualismo nel mondo Anglosassone VS “Noi” del totalitarismo collettivista nell'ex URSS
Sull'onda del positivismo (tema già ampliamente trattato negli interventi precedenti) nel mondo si delinearono due modi sostanzialmente opposti di immaginare l'uomo.
Ad occidente l'ideale proprio della cultura anglo-americana elevato a scelta antropologica fondamentale è fondato sul concetto dell'individualismo liberale; ogni singolo si fa da sé senza l'aiuto dell'altro, della comunità, dello Stato: è l'uomo competitor, il competitore agonistico. Il self made man che diventa capitalizzatore di beni in una economica statale che non mette naso negli affari privati (con conseguenze passate alla storia: crisi statunitense con ripercussioni mondiali nel 1929).
Ad oriente e nella vecchia Europa le teorie di Karl Marx diedero spunto al pedagogista russo Makarenko che sosteneva una linea educativa nell'interesse del collettivo annientando anche pedagogicamente l'irripetibilità della persona. In estrema sintesi la sua linea educatica è il “Vietato dire Io”. All'interno del sistema sovietico l'opzione antropologica andava a definire il “cittadino desiderabile”.
Il pensiero filosofico era così schierato: ad occidente il liberalismo e ad oriente il totalitarismo collettivizzante.
Il modello antropologico del liberalismo è costruito su di un'idea di libertà, ma questo è un concetto materialmente inteso. L'uomo, libero da cosa? O se vogliamo, da chi?
E nel totalitarismo collettivizzante se esiste solo il “Noi”, cosa (o chi) sono io uomo?
Parliamo ancora un pò del passato e precisamente di un passato piuttosto recente: quello del secolo scorso.
”Io” dell'individualismo nel mondo Anglosassone VS “Noi” del totalitarismo collettivista nell'ex URSS
Sull'onda del positivismo (tema già ampliamente trattato negli interventi precedenti) nel mondo si delinearono due modi sostanzialmente opposti di immaginare l'uomo.
Ad occidente l'ideale proprio della cultura anglo-americana elevato a scelta antropologica fondamentale è fondato sul concetto dell'individualismo liberale; ogni singolo si fa da sé senza l'aiuto dell'altro, della comunità, dello Stato: è l'uomo competitor, il competitore agonistico. Il self made man che diventa capitalizzatore di beni in una economica statale che non mette naso negli affari privati (con conseguenze passate alla storia: crisi statunitense con ripercussioni mondiali nel 1929).
Ad oriente e nella vecchia Europa le teorie di Karl Marx diedero spunto al pedagogista russo Makarenko che sosteneva una linea educativa nell'interesse del collettivo annientando anche pedagogicamente l'irripetibilità della persona. In estrema sintesi la sua linea educatica è il “Vietato dire Io”. All'interno del sistema sovietico l'opzione antropologica andava a definire il “cittadino desiderabile”.
Il pensiero filosofico era così schierato: ad occidente il liberalismo e ad oriente il totalitarismo collettivizzante.
Il modello antropologico del liberalismo è costruito su di un'idea di libertà, ma questo è un concetto materialmente inteso. L'uomo, libero da cosa? O se vogliamo, da chi?
E nel totalitarismo collettivizzante se esiste solo il “Noi”, cosa (o chi) sono io uomo?